Cibo, ridurre gli sprechi può anche diventare un buon affare
Al Muse un convegno organizzato da Risto 3 e Comunità Valle dei Laghi. Dal recupero degli scarti sono nati progetti di successo. Le loro storie raccontano che eliminare gli sprechi può essere molto conveniente, per l’ambiente e l’economia. Molti i campi di applicazione, dall’alimentare, alla moda, al packaging.
Risto 3 in prima fila con il Banco Alimentare per ritirare le eccedenze dalle mense scolastiche per distribuirle ai bisognosi.
Ridurre gli sprechi oggi è un dovere morale per privati e realtà produttive. Ma fare sviluppo sostenibile non soltanto è possibile, ma può dare origine a nuovi business, in grado di generare un indotto positivo sulla società, sull’ambiente, e anche in termini economici.
Questo il messaggio uscito da un convegno al Muse organizzato da Risto 3 e Comunità Valle dei Laghi sulla riduzione degli sprechi in ambito alimentare e della produzione, cui hanno partecipato più di un centinaio di persone.
Risto 3 è una cooperativa che confeziona e distribuisce in Trentino circa 7mila pasti l’anno in 270 strutture, e dà lavoro a più di 1.100 persone. Il tema della sostenibilità e della riduzione degli scarti è molto sentito.
Da qualche anno Risto 3 ha avviato una collaborazione con Banco Alimentare per il ritiro delle eccedenze alimentari dalle mense scolastiche delle Comunità Valle dei Laghi, Valle di Cembra, Val d’Adige, e ridistribuirle ai bisognosi. Questo è possibile attraverso l’applicazione Bring The Food e la presenza di una fitta rete di collaborazioni sul territorio.
Sul tema del riciclo le esperienze di successo portare al convegno di Trento sono molte e diversificate. Esse vanno dal riutilizzo di scarti di prodotto, alla re-immissione nella filiera produttiva, tramite la trasformazione degli scarti stessi in materiali diversi.
Tra le sperimentazioni più recenti, la valorizzazione delle biomasse residuali e i rifiuti organici alimentari in ambito energetico.
“Dagli scarti della produzione della trota,– ha affermato il prof. Luca Fiori, docente di Ingegneria Chimica all’università di Trento - si può ricavare un olio alimentare ricco di omega-3, e con l’olio ottenuto dallo scarto di vinacciolo dell'uva si può anche condire la pasta”.
Ma dagli scarti di cibo è possibile ricavare anche materiali che nulla più hanno a che fare con la tavola. Frumat Srl Italia, azienda bolzanina fondata nel 2008, ha lanciato “Appleskin”, similpelle vegana ricavata dagli scarti della produzione di mela.
“È un frutto che viene coltivato moltissimo nel nostro territorio, e durante l’intero anno, elemento che ci permette di lavorare sempre, recuperando tutti gli elementi di scarto - ha affermato il ceo Hannes Parth -. I materiali ricavati dal recupero di scarti di produzione non sono più, come qualche tempo fa, brutti e poco appetibili. Anzi non hanno nulla da invidiare a quelli più tradizionali, e vanno diventando vere e proprie icone di stile”, come dimostrano le collaborazioni con alcuni tra i designer più all’avanguardia a livello internazionale.
Sempre legata al settore della moda e ai materiali, è anche l’attività di Bollait – gente della lana, comitato nato nel 2017 a Palù del Fersina in Val dei Mocheni, con l’obiettivo di promuovere la filiera corta della lana attraverso il recupero di quello che è un rifiuto speciale, costoso da smaltire e abbondante sull’intero territorio.
Per Giovanna Zanghellini, Barbara Pisetta e Stefano Moltrer di Bollait “sono sempre di più i pastori che si rivolgono a noi per chiederci di ritirare la lana ricavata dalla tosa delle pecore. La lana è per legge un rifiuto speciale costoso da smaltire, e chi fa smaltimento illegale provoca grossi danni all’ambiente”.
Così hanno deciso di recuperarla, lavorarla e creare il marchio che al momento produce trapunte, cuscini, materassi e piccoli prodotti fatti a mano tinti con pigmenti vegetali.
“Finora abbiamo raccolto circa 3.500 kg di lana locale - hanno detto i rappresentanti del comitato - ma l’idea è di proseguire nello sviluppo del progetto, per incidere in modo positivo sull’ambiente e sul reddito degli allevatori sull’artigianato domestico e sul turismo esperienziale del territorio”.
Dalla lana delle pecore alla cera d’api. La cooperativa sociale Sonda onlus, di Altivole (Treviso), di cui è vicepresidente Francesca Amato, produce il marchio APEPAK, materiale per il packaging alimentare in cera d’api e olio di jojoba, lavabile e naturalmente, sostenibile.
“Noi siamo abituati a pensare che la plastica sia il materiale più economico, ma non sempre è così – ha detto il fondatore della coop Massimo Massarotto -. Apepak, si pone l’obiettivo di ridurre la produzione di plastica e, a cascata, di impattare positivamente sulla sostenibilità”.
E di sostenibilità ha parlato anche il moderatore David Tombolato, mediatore culturale al Muse, il quale ha sottolineato come la sfida lanciata nel 2015 dall’ONU all’umanità, sia stata pienamente colta da realtà e aziende che ci hanno creduto e la portano avanti facendo, della sostenibilità, business e sviluppo.