25 maggio 2023
Condividi il link su:

Italian sounding, un fenomeno che vale 80 miliardi di euro 

Alcuni tra i più importanti esponenti della cooperazione agroalimentare italiana si sono confrontati stamane a Palazzo Benvenuti sul tema dell’export e della vendita di prodotti “simil italiani” nel mondo, in un panel in programma al Festival dell’Economia di Trento. A stimolare il dibattito lo studio di “The European House Ambrosetti”, che ha messo in luce l’alto numero di prodotti imitati all’estero.

L'intervento di Maurizio Gardini presidente di Confcooperative

Parmigiano, ragù e aceto balsamico i più imitati. In Giappone, Germania e Brasile 7 prodotti su 10 non sono originali. Il fatturato dell’export dei prodotti agroalimentari percepiti come italiani vale oltre 129 miliardi di euro, di questi solo il 40% va alle imprese che producono realmente in italia, il resto, la fetta più grande, alimenta l’industria del falso.  La denuncia viene dal workshop “La cooperazione agroalimentare tra tutela e valorizzazione del cibo italiano. L’export alla prova dei mercati e dell’Italian Sounding organizzato da Confcooperative nel corso della prima giornata del Festival dell’Economia a Trento.    

Il mercato del falso nel made in Italy agroalimentare vale più del totale dell’export veramente italiano, – ha sottolineato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini - nonostante quest’ultimo abbiamo superato la barriera psicologica dei 50 miliardi di controvalore. A fronte di questo risultato il falso made in Italy ha fatto registrare un fatturato poco meno di 80 miliardi, il 60% in più. Un paradosso che produce un notevole danno economico per i produttori e di immagine per l’intera economia del nostro Paese”. 

 “Supportare l’export – ha aggiunto Carlo Piccinini, presidente di Confcooperative Fedagripesca - non significa solamente promuovere, incentivare. Significa anche tutelare, direttamente nei mercati esteri, le quote di mercato che abbiamo conquistato con il grande impegno dei nostri esportatori, proteggendo le nostre eccellenze dalle imitazioni. Significa fare chiarezza su cosa è veramente Made in Italy prima di tutto a casa nostra nell’ottica della massima trasparenza che il consumatore merita”.   

Ragù, Parmigiano e aceto balsamico, sono i tre prodotti più falsificati: 6 su 10 di quelli venduti all’estero sono italian fake food, prodotti che di italiano hanno solo il nome, eppure vengono percepiti come tali da chi li acquista.   

 "Le cooperative lattiero caseario – replica Michele Falzetta, general manager Latteria Soresina - fanno una importante attività di sviluppo all’estero, supportate anche dai Consorzi di tutela come quello del Grana Padano del Parmigiano, del provolone e del gorgonzola, soprattutto per le attività di comunicazione. Lo step successivo necessita di sviluppo di reti commerciali dirette che esigono investimenti importanti. Per quest’ultima esigenza sarebbero auspicabili processi di aggregazioni tra le cooperative sul mercato estero".   

L’indagine, condotta da “The European House Ambrosetti” e Assocamerestero, ha studiato il fenomeno considerando gli scaffali della GDO internazionale e interrogando 250 retailer di 10 Paesi (Stati Uniti, Canada, Brasile, Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, Cina, Giappone e Australia) con focus su 11 prodotti tipici del Made in Italy agroalimentare (parmigiano, gorgonzola, prosciutto, salame, pasta di grano duro, pizza surgelata, olio-extra vergine di oliva, aceto balsamico, ragù, pesto e prosecco). La metodologia usata per condurre la survey si basa su due coefficienti: 

  • uno in grado di calcolare la presenza sugli scaffali dei supermercati di prodotti del vero italiano
  • l'altro consente di depurare il risultato dalla quota di consumatori che scelgono referenze non autentiche italiane attirati dalla convenienza di prezzo (3 consumatori su 10 ricercano il prezzo basso e non l’italianità dei prodotti)

Dall’analisi del primo coefficiente, l’Italian sounding risulta più marcato in Giappone (quota di prodotti non autentici pari al 70,9%), in Brasile (70,5%) e in Germania (67,9%). Analizzando i prodotti, l’Italian sounding è più marcato nel ragù (61,4%), nel parmigiano (61%) e nell’aceto balsamico (60,5%).  

Un fenomeno difficile da limitare - spiega il presidente di Ambrosetti Marco Grazioli - ma alcune cose si possono fare. Ad esempio, migliorare gli accordi bilaterali tra italia e singoli paesi, lavorare sulle etichettature e diffondere la cultura del cibo italiano e il suo sinonimo di eccellenza”. 

Al dibattito ha contribuito Pina Costa, direttore relazioni esterne Assocamerestero: “L’Italian sounding è una forma di marketing aggressivo, perché l’Italia sul settore agroalimentare ha un’importanza quasi onirica, alimentata dagli stessi italiani all’estero. Quello che possiamo fare è insistere a consolidare la nostra rete, costituita da 84 camere di commercio italiane in 61 paesi esteri, aggrega oltre 23mila imprenditori italiani ed esteri e rappresenta per il Sistema Italia una partnership fondamentale per aiutare le imprese, in particolare quelle piccole e medie, a radicarsi sui mercati esteri creando collegamenti e relazioni fiduciarie con le comunità d'affari estere”. 

Autore: redazione
Risorse correlate