Accoglienza al femminile
Ci sono esperienze nella vita che ne segnano il tracciato fino a modificarlo in modo profondo. Così è capitato a me quando, terminati gli studi universitari, ho assolto il mio dovere verso lo Stato con dieci mesi di servizio civile. La destinazione è stata una cooperativa sociale della mia città, Rovereto, la Punto d’Approdo, impegnata a 360 gradi sul disagio femminile. La cooperativa, fin dalla metà degli anni Ottanta, gestiva infatti delle strutture di accoglienza per donne in difficoltà con situazioni di fragilità e disagio personale o sociale, spesso con storie di violenza alle spalle e molte volte accompagnate da figli in tenera età. Da subito mi ha colpito la mission: accogliere le persone, senza distinzioni rispetto al colore della pelle, alla ricchezza, al contesto, alle fragilità. Dare una mano a queste donne nel superare il loro momento di difficoltà, subito, senza giudicare, col solo fine di sostenerle ad aiutarle a ritrovare un po’ di serenità e riprendere appieno la loro autonomia di vita.
Sono stati mesi intensi, appassionati con esperienze molto forti, di cui oggi, da marito e padre di due bambine, conservo ancora il ricordo attraverso il volto di tante madri e tanti figli, a volte accolti in emergenza con negli occhi tutta la sofferenza e l’angoscia di una vita segnata dalle tante difficoltà del vivere. Esperienze che mi hanno fatto capire le conseguenze che possono lasciare nelle famiglie certe piaghe come le dipendenze da sostanze, l’abuso di alcol, le ludopatie fino alla violenza. Tutte problematiche estremamente ‘democratiche’, nel senso che possono accadere in tutti i ceti sociali, indipendentemente dal grado di cultura o dalle condizioni economiche. Per me è stato uno snodo identitario, un’esperienza umana di altissimo valore, che poi ho proseguito con un impegno per quasi vent’anni prima come socio e volontario ed in seguito come amministratore della Cooperativa.
Alcuni anni anni fa il Punto d’Approdo è stato segnato profondamente dalla scomparsa, in pochi mesi, del direttore Giuseppe Piamarta e della presidente Lucia Tomazzoni. Due punti di riferimento storici, presenti ed attivi con dinamismo e generosità fin dalla nascita di questa realtà. In questo contesto ho maturato una scelta professionale e di vita: ho lasciato il mio lavoro di bancario presso Cassa Centrale Banca, dove lavoravo da diciotto anni, e ho scelto di abbracciare questa nuova sfida professionale con la consapevolezza di continuare ed approfondire il mio rapporto con la Cooperativa Punto d’Approdo.
La struttura mi conosceva ed era già ben organizzata. Ha aiutato molto in questa fase lo spirito cooperativo ben presente e radicato in tutti i colleghi che è servito per superare il momento di difficoltà unendo i singoli per vincere quel naturale senso di smarrimento che poteva certo arrivare, dopo la perdita di due punti di riferimento quali erano Lucia e Giuseppe. Il mio primo compito, dunque, è stato quello di fornire a quel gruppo affiatato e appassionato di quasi 50 dipendenti un nuovo punto di riferimento, disponibile all’ascolto e pronto alle nuove sfide alle porte. Sì perché nel frattempo il settore della cooperazione sociale è stato protagonista di una rivoluzione epocale ancora in pieno svolgimento. Da una parte c’è la riforma nazionale che ci trasforma in imprese sociali (dove il termine “impresa” non è casuale) e dall’altra la revisione provinciale della normativa sul welfare, che prevede nuovi e complessi meccanismi di accreditamento per il futuro affidamento dei servizi socio assistenziali. Una trasformazione radicale e profonda che ci ha indirizzato verso la strada di un sempre maggiore efficientamento e un innalzamento della qualità dimostrata attraverso varie certificazioni di processo e organizzative, come l’ISO9001 e il Family Audit. E poi c’è la sfida della sostenibilità economica, sempre incalzante, la stessa che ha dato vita, una decina di anni fa, al Laboratorio ‘Le Formichine’, dove le donne inserite nelle nostre strutture di accoglienza potessero avere un primo sbocco lavorativo misurandosi sulla strada dell’indipendenza economica, attraverso la realizzazione di oggetti artigianali e attività di confezionamento. Tutti prodotti che sono messi in vendita e che per avere un ritorno economico devono essere realizzati con professionalità, qualità e gusto, tali da essere appetibili sul mercato.
Una serie di sfide interessanti ma anche molto impegnative. Così come affrontare i nuovi bisogni emergenti sul nostro territorio. Da qui nasce il nostro impegno nell’accoglienza profughi, sulla quale la Provincia ci ha chiesto di attivarci qualche anno fa, mettendo a fattor comune le nostre competenze maturate sul campo in oltre trent’anni di attività. Così abbiamo preso in mano la gestione degli appartamenti di Rovereto e della Vallagarina dedicati all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e “Casa San Giuseppe” a Lavarone, dove ci sono state affidate 23 giovani nigeriane che sono state protagoniste di un percorso straordinario di attivazione della comunità. Oltre ai corsi di lingua italiana e alle tante iniziative promosse della cooperativa, queste ragazze hanno potuto contare su una forte rete territoriale, con volontari per perfezionare l’italiano e per conoscere l’altopiano di Lavarone con le sue tradizioni. Un abbraccio della comunità al quale hanno risposto con rispetto e gratitudine con un ottimo grado di integrazione. Molte di loro hanno pure trovato lavoro negli alberghi della zona, segno che l’integrazione è un percorso lungo, spesso non facile, ma sicuramente possibile.
Oggi quest’esperienza torna di nuovo utile con l’emergenza ucraina, nella quale mettiamo a disposizione le nostre competenze e la nostra umanità, con l’obiettivo di lasciare in chi scappa dalla guerra e approda in Trentino un segno profondo, di speranza e di fiducia in un futuro migliore che siamo tutti impegnati a costruire.